Metodologie a confronto nella riabilitazione in acqua del soggetto in età evolutiva con patologia neuromotoria
Il confronto fra diversi approcci di “riabilitazione in acqua” proposti per il trattamento della patologia neuromotoria in età evolutiva si propone, sotto molteplici punti di vista, come analisi-guida per la scelta della strategia maggiormente adeguata alla specificità e alle esigenze riabilitative del singolo caso.
Si è cercato per tanto di evidenziare i “punti di forza” – unitamente ai “punti deboli” – delle singole tecniche (nello specifico: il Metodo Halliwick; l’Approccio Sequenziale Propedeutico; la Psicomotricità in acqua), al fine di poter dare un quadro quanto più possibile completo delle metodiche in esame e metterne in luce i limiti di applicazione ed efficacia.
Il Metodo Halliwick
Sviluppatosi in Inghilterra a partire dal 1950 grazie all’ing. James McMillan, il Metodo Halliwick integra le considerazioni teoriche e sperimentali della meccanica dei fluidi con le reazioni del corpo umano nell’ambiente acquatico.
Questa combinazione trova espressione diretta nella sequenza di apprendimento che sta alla base del metodo stesso: il “programma in 10 punti”, strutturato in 4 diversi momenti, o fasi.
“The ten points program” – Il programma in 10 punti
- adattamento psicologico: presa di coscienza che nell’acqua si è vincolati da due forze in azione: la gravita e la spinta verticale;
- sganciamento: incoraggiare ad usare qualsiasi nuova capacità sviluppata senza assistenza fisica e psicologica;
- controllo della rotazione verticale;
- controllo della rotazione sagittale;
- controllo della rotazione laterale;
- controllo della rotazione combinata;
- “inversione mentale”: passaggio nel quale si prova a rimanere sott’acqua opponendosi agli effetti della spinta verticale;
- equilibrio in acqua calma: capacità di mantenere l’assetto;
- equilibrio in turbolenza;
- progressione semplice e movimento di base: ricerca della migliore strategia che in singolo soggetto può mettere in atto per muoversi in autonomia nell’acqua.
McMillan credeva sui benefici terapeutici del galleggiamento e in particolare sulla nozione di assenza di peso, ma teorizzò anche un altro principio: “in acqua, i riflessi primordiali sono modelli di inerzia e possono essere usati per provocare movimento” (McMillan, 1984).
Per comprendere a pieno i modelli di inerzia, è importante avere ben chiaro il concetto di metacentro. Un corpo in acqua deve adottare i necessari accorgimenti per far si che le forze di gravità e la galleggiabilità siano eguali e allo stesso tempo opposte l’una all’altra: se queste forze non si equivalgono, il corpo diverrà instabile.
Nei casi in cui la perdita dell’equilibrio non possa essere ben coordinata, il corpo utilizza dei modelli di comportamento basati su “riflessi primordiali”: questi riflessi coincidono con i modelli di inerzia e sono in grado di bloccare rotazioni involontarie e favoriscono la stabilizzazione della postura.
McMillan creò allora diverse tecniche che implicavano l’uso della turbolenza, dell’acqua profonda e della stimolazione tattile per disgregare l’equilibrio raggiunto dal paziente: questa perdita d’equilibrio spinge il corpo a “rotolare”, facendo si che gli individui si muovano continuamente per bilanciarsi.
Questi effetti metacentrici agiscono insieme a immissioni propriocettive “alterate” (a causa dall’assenza di peso) e richiedono pertanto che l’individuo si affidi ai propri riflessi primordiali per monitorare e controllare i movimenti (o per re-imparare a muoversi.
Fondamentalmente, quindi, l’uso terapeutico del Metodo Halliwick sta nello “smembramento delle forze metacentriche” che portano l’individuo ad utilizzare i suoi riflessi primordiali per imparare o re-imparare a mantenere il controllo posturale, l’equilibrio e il movimento). Questi smembramenti sono attentamente studiati, pianificati e messi in pratica per arrivare agli effetti terapeutici desiderati.
Una volta completato l’assestamento e una volta identificati gli obbiettivi del trattamento, il terapista sceglie un piano di rotazione appropriato, la posizione iniziale, i modelli di esercizi, le tecniche e le modalità di trattamento.
La Psicomotricità in acqua
Per alcuni bambini con esiti di P.C.I. con componente patologica sia del quoziente intellettivo sia delle abilità motorie, la Psicomotricità in acqua si adatta bene ma, bisogna sottolineare, come esercizio rieducativo per le funzioni cognitivo- motorie, e non prettamente motorie, poiché si rischia, se la patologia è “fissata”, di evocare sincinesie e risposte stereotipate. Inoltre, la P.C.I. rappresenta il punto di incontro non solo di un problema del movimento, ma anche di percezione e, non meno importante, di intenzionalità.
Si tratta di un deficit nello stabilire relazioni sinergiche con l’ambiente, biologicamente significative, dovuto ad una distorsione nella capacità di cambiare la forma del corpo in relazione alla forma degli oggetti e del- l’ambiente. È nell’esperienza di tutti la difficoltà di alcuni bambini nel muoversi, non tanto per il deficit motorio di per sé ma come problema di volontà ed intenzionalità, di interesse, di partecipazione, di curiosità e creatività.
L’evoluzione della conoscenza e l’uso del proprio corpo può essere favorita dall’uso dello stesso mediante situazioni ed esercizi che riescono a conciliare i bisogni (definiti dall’équipe) con gli interessi (propri del bambino): per questo motivo l’educazione si traduce esclusivamente in gioco, mirato ovviamente agli obiettivi prefissati.
Associando il gioco funzionale alla regola, mediante un’esperienza viva, in allungamento, accorciamento, in avanti, all’indietro, il bambino impara a “differenziare”. Inoltre, nella fase iniziale è l’adulto che mobilizza il bambino (ricostruzione del dialogo madre-bambino); nella fase successiva, si agisce per imitazione e specularmente (fase di formazione dell’io) e infine, nell’ultima fase, il bambino agisce da solo su comando verbale.
Questo “uso di sé”, associato alla coscienza, ricostruisce il ciclo dello sviluppo del bambino, dai movimenti dello strisciare, rotolare, gattonare, alla stazione eretta, in modo sempre più preciso, differenziato, e controllato: in questo modo, si mira alla conoscenza e alla padronanza dell’io corporeo attraverso l’azione. Per questo l’esperienza del movimento in acqua si può collocare come una condizione possibile in cui il bambino possa “sperimentarsi”: la variazione che l’elemento acqua impone, attraverso l’assenza della base d’appoggio da un lato e la comparsa della spinta idrostatica del galleggiamento dall’altro, determina la necessità di un riadattamento, che diviene nuovo apprendimento e maggiore consapevolezza del proprio corpo (limiti, gradi di libertà, possibilità) e quindi anche di sé.
Analisi dei risultati
Questionario sull’attività in acqua
Il questionario è stato strutturato in modo tale da invitare l’operatore, assegnato il punteggio alla singola voce, a esprimere le motivazioni del suo giudizio.
Domanda 1 – Protocolli e scale di valutazione
Se presenti, esprimi un giudizio sulla validità e sull’applicabilità degli strumenti proposti dal singolo metodo nella conduzione della pratica riabilitativa. (Grafici 1 – 2)
Per tutti i metodi esaminati, è stata sottolineata una parziale incapacità di conciliare le esigenze operative dell’intervento riabilitativo con applicazione del protocollo di tratta- mento, che non sempre viene seguito alla lettera. Inoltre, le scale di valutazione rappresentano il più delle volte delle “tracce” cui aggiungere osservazioni contesto-dipendenti per la diversità della proposta riabilitativa. In modo particolare, si è osservato che sia la validità, sia l’applicabilità degli strumenti e delle strategie riabilitative proposte è molto significativa per tutti gli approcci esaminati.
Domanda 2 – Outcome
Sulla base della tua esperienza, esprimi un giudizio sulla validità e sull’efficacia del singolo metodo nel rapporto fra obiettivi prefissati e obiettivi raggiunti. Per quanto riguarda il Metodo Halliwick, solo in pochissimi casi non si è raggiunto l’obiettivo prefissato, e si potrebbero ottenere risultati ancora più significativi – in termini di esito funzionale – se ci si trovasse ad operare in condizioni ideali (non vincolate, ad esempio, da tempi ridotti, numero di sedute limitate, eventuali assenze dei piccoli pazienti).
L’ A.S.P. è stata giudicata poco applicabile su bambini molto compromessi o poco collaboranti, mentre nella Psicomotricità in acqua, considerata un mezzo efficace nei disturbi psicoaffettivi e in particolare nella fascia 6-9 anni, le modificazioni nel comportamento e nelle abilità sono ben valutabili a fine ciclo.
Domanda 3 – Confronti e integrazioni
Rispetto ad altri approcci riabilitativi in acqua, come influisce il singolo metodo su: schema corporeo, propriocettività, rilassamento, miglioramento dell’articolarità, recupero muscolare, equilibrio, coordinazione e autonomia? (Grafico 3).
Elemento comune di giudizio è risultata la variabile “capacità (possibilità) del paziente” sia dal punto di vista psichico che motorio: il Metodo Halliwick, rispettando i tempi del paziente con una progressione logica e con possibilità di verifica tangibili, privilegia essenzialmente obiettivi riabilitativi riferiti all’adattamento all’ambiente acquatico e all’autonomia, rispetto all’articolarità e al rinforzo muscolare. Per questo motivo è ritenuto più opportuno raggiungere questi ultimi attraverso approcci riabilitativi più specifici, anche se spesso, per raggiungere gli esiti prefissati, si rende necessario un metodo meno “scientifico” e più “empatico”.
A questo proposito, è la Psicomotricità in acqua la strategia maggiormente efficace per l’apertura alla relazione e al dialogo tonico-emozionale, con i migliori risultati sulla percezione, interiorizzazione e miglioramento dello schema corporeo.
Domanda 4 – Preparazione pratica
Secondo te, il metodo esaminato propone una documentazione teorica aggiornata e una adeguata preparazione pratica? Se presenti, quanto incidono queste carenze nella tua pratica riabilitativa? Che valore assume in questo ambito la necessità di riallinearsi o integrarsi con nuove proposte riabilitative? (Grafico 4).
I risultati hanno evidenziato una netta superiorità dell’A.S.P. rispetto agli altri metodi. Questi valori derivano dalla peculiarità del metodo, relativamente “giovane” e ottimamente documentato, in cui ogni protocollo nasce da una sperimentazione pratica supportata da conoscenze scientifiche. Resta da sottolineare comunque l’importanza dell’integrazione con altri approcci riabilitativi, non essendo questo onnicomprensivo di tutti gli aspetti, che renderebbero maggiormente specifico l’intervento terapeutico.
Domanda 5/6 – Accessibilità per l’operatore, accessibilità per il paziente
Come valuteresti l’accessibilità del metodo per ciò che riguarda i tempi, le modalità, i materiali e le risorse organizzative necessari nel corso del ciclo riabilitativo?
Il più delle volte i fattori “tempo” e “risorse organizzative” (scarsi) rappresentano le principali limitazioni: in modo particolare, nella terapia con rapporto 1:1 si rende necessario un notevole impegno logistico, così come la disponibilità di spazi adeguati all’intervento, come ad esempio nella Psicomotricità in acqua.
L’ A.S.P. è stata giudicata difficilmente applicabile a bambini poco collaboranti o con gravi deficit cognitivi, di coordinazione e prassici. Determinante ancora una volta invece, nella Psicomotricità in acqua, la necessità di un setting adeguato, di uno spazio individuale difficilmente reperibile in una piscina dove gli elementi di disturbo sono numerosi.
Domanda 7/8/9 – Rapporto con il paziente, l’équipe, la famiglia
Esprimi un giudizio sull’impatto che ha avuto il metodo sul paziente/l’équipe/la famiglia per quanto riguarda la partecipazione, la motivazione, la comprensione e il benessere derivanti dal trattamento.
Il Metodo Halliwick e la Psicomotricità in acqua risultano maggiormente accettati: il bambino è motivato e partecipa con entusiasmo, poi- ché in entrambi i casi le richieste vengono effettuate sottoforma di gioco semplice.
L’A.S.P., invece, proponendo elementi maggiormente tecnici e strutturati, rivela un iniziale livello di comprensione inferiore, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione all’attività. Ogni terapista ha richiamato l’attenzione sul valore dell’équipe in funzione dell’integrazione e dello scambio di idee fra operatori, e sulla necessità della condivisione dei metodi e degli obiettivi.
In quest’ottica è quindi giustificabile il risultato ottenuto dalla Psicomotricità in acqua rispetto agli altri due metodi in esame: la comprensione di questi ultimi infatti, proponendo strategie efficaci e intuitive nella loro progressione, risulta più “immediata” rispetto alle complessità riabilitative del bambino che accede al Servizio di Psicomotricità.
Per quanto riguarda il rapporto con la famiglia, l’attività in piscina è sempre accettata con gioia perché “più vicina alla normalità”. Per questo motivo, la Psicomotricità in acqua viene a trovarsi nuovamente in condizione di “svantaggio” poiché a differenza degli altri metodi non prevede elementi prettamente “tecnici”, come ad esempio esercizi specifici; a questo proposito, gli operatori puntualizzano che i genitori spesso si interessano maggiormente all’autonomia nel nuoto, piuttosto che alla modalità con cui questa viene raggiunta.
Analisi dei risultati
Gruppo 1: Metodo Halliwick
Nonostante la gravità delle condizioni dei suoi componenti, grazie all’applicazione del “programma in 10 punti” il gruppo ha raggiunto, nel tempo, una straordinaria acquaticità, tale da permettere un progressivo allontanamento del terapista dal singolo paziente per consentirgli di sperimentare, raggiungere e conservare la massima autonomia possibile.
Gruppo 2: A.S.P. – Approccio Sequenziale Propedeutico
La proposta dell’A.S.P. è stata supportata dalla volontà di proporre, in questo gruppo, una modalità terapeutica maggiormente specifica e “tecnica”. Le abilità prassiche e cognitive dei componenti hanno permesso di seguire i programmi suggeriti dall’approccio in modo regolare e coerente con i risultati ottenuti. D’altra parte però, pur disponendo di protocolli di lavoro sistematici per le varie patologie, e nonostante i risultati ottenuti, alla fine del ciclo di trattamento ci si è resi conto di aver privilegiato gli aspetti segmentari piuttosto che la gestione globale dell’intervento sul bambino.
Gruppo 3: Psicomotricità in acqua
In questo caso, complesso e articolato, la proposta della terapia psicomotoria in piscina era validamente supportata dalla difficoltà del piccolo paziente di vivere il “piacere del movimento”, condizionato dalle difficoltà dell’arto colpito nell’organizzazione ed esecuzione del movimento. Si è cercato quindi di permettere al bambino di avere la possibilità di muoversi e di esprimersi liberamente, stabilendo una relazione con l’altro attraverso il contatto, migliorando le abilità motorie e recuperando potenzialità altrimenti non evocabili in contesti diversi.
Conclusioni
Nonostante ognuno di essi venga proposto come strategia valida ed efficace nel trattamento delle P.C.I., l’analisi critica e obiettiva di questi metodi ha messo in evidenza come in realtà non sia possibile effettuare, fra essi, un confronto diretto: sia il Metodo Halliwick, sia l’A.S.P., sia la Psicomotricità in acqua rappresentano infatti le possibili alternative al trattamento in acqua della patologia neuromotoria in età evolutiva.
Attraverso questo studio, è stato quindi possibile mettere in luce i punti di forza e i punti deboli delle singole strategie .
Ogni approccio si pone obiettivi diversificati, ed è quindi fondamentale che il terapista, nella costruzione del processo riabilitativo, abbia ben chiaro l’obiettivo che vuole raggiungere, sia esso prettamente segmentario, oppure orientato verso l’autonomia o ancora verso il puro piacere del movimento.
E’ stato quindi possibile sottolineare come in realtà il metodo sia solo uno “strumento” nelle mani del terapista, uno strumento non da applicare meramente sul paziente, ma da “modellare insieme al paziente”.
E’ dal confronto fra i metodi che nasce la necessità di “superare” il metodo. Una strategia riabilitativa non deve essere valutata per le sue peculiarità strettamente tecniche, ma per la sua validità globale: infatti la costruzione del processo riabilitativo di una persona disabile deve avere come obiettivo non solo il recupero di eventuali funzioni perse ma, in senso più generale, il reinserimento in un normale contesto di vita sociale.
Solo questo rende possibile la scelta consapevole del metodo che maggiormente risponde alle reali esigenze del paziente. Se, come fisioterapisti, accettiamo questa interpretazione del termine “riabilitazione”, dobbiamo anche ammettere che il nostro intervento rieducativo deve essere considerato come una tappa ed un momento di questo percorso.
Per questo, a prescindere dalle patologie e dall’uso delle tecniche specifiche, è chiaro che il lavoro svolto dai fisioterapisti, teso ad evocare potenzialità residue o mancanti, dovrebbe poi avere un riscontro funzionale e utilitaristico, manifestabile in modo concreto e sociale: solo in questo caso potremmo dire di aver partecipato, con la nostra opera professionale di rieducatori, alla “riabilitazione del paziente”.