Patologie del rachide, esercizi terapeutici in piscina
Il metodo A.S.P. di fatto non contempla protocolli standard ma schede di sequenze di lavoro che vanno adattate al caso e all’evolversi della situazione clinica stessa.
A sostegno ho presentato un caso clinico di una donna di 64 anni che da circa 10 anni presentava una storia di lombalgia con irradiazione all’arto inferiore destro e che precedentemente (nel 2000) aveva fatto intervento di asportazione di ernia discale L3-L4.
Anche dopo l’ intervento la sintomatologia dolorosa permaneva seppure sottoposta ad altri cicli di riabilitazione e terapia farmacologica.
Viene ammessa nel centro dove io lavoro per un ricovero a regime intensivo, in previsione di un programmato intervento di stabilizzazione vertebrale.
Valutazione funzionale iniziale
Alla valutazione funzionale iniziale il paziente riferiva: marcata algia al risveglio e durante la deambulazione, rigidità articolare e muscolare del tratto lombare su tutti i piani maggiormente evidente durante la flesso estensione, parestesia posteriormente all’arto inferiore destro e deficit di forza, marcata retrazione della catena muscolare posteriore, SLR (Straigh Leg Raice, come il Lasegue per i medici) dx 45°- sx 75°, QBPDS (Quebec Back Pain Disability Scale) punteggio 86, Ambulation Index 46/ 100.
Quest’ultimo dato ci è pervenuto da una valutazione ed in seguito lavoro fatto con Biodex Gait Training che è come una sorta di tape roulant su cui dando l’età, sesso, lunghezza degli arti e ad una velocità accettata dal paziente apparirà un feed back visivo e sonoro che aiuterà il paziente a fare una lunghezza del passo uguale ad entrambe gli arti e a mantenere un rapporto equilibrato sul tempo di distribuzione del carico sull’arto destro e sinistro.
Obiettivi terapeutici prefissati
Gli obiettivi terapeutici che mi ero posta erano: controllo della sintomatologia dolorosa, miglioramento della stabilità vertebrale, riduzione dei compensi indotti in statica e dinamica e il ripristino del corretto pattern motorio nella deambulazione.
Il grande limite in questo trattamento è stato il dolore, problema molto più evidente nel lavoro a secco: quindi l’acqua diventava non un supporto ma in alcuni momenti del periodo di ricovero l’ unica proposta che riusciva a dare sollievo al costante dolore della donna.
Normalmente nella storia clinica si è sempre assunto un atteggiamento di eccessivo timore nel mobilizzare un rachide doloroso per cui si è teso sempre a proteggere e immobilizzare con corsetti senza poter prendere neanche pesi modesti, mentre per una lesione di caviglia si parla da subito di propriocettività.
Secondo me il paziente va rieducato al movimento anche attraverso la presa di coscienza del proprio rachide e “l’acqua è una situazione avvolgente che favorisce l’ascolto del proprio corpo”.
Il trattamento prevedeva all’inizio un TEST dello “SCIVOLAMENTO SINUSOIDALE” da utilizzare anche a fine trattamento per verificare mediante la suddetta manovra il grado di apertura di un lato rispetto all’altro.
Questo mi faceva notare subito un’ asimmetria su cui poter andare a lavorare (deficit di apertura).
In questa prima fase del trattamento queste manovre possono anche aiutare a prendere confidenza con l’acqua e, con l’adeguata temperatura, a permettere un iniziale azione rilassante su una muscolatura molto provata dal dolore. Io utilizzavo questa fase anche come un iniziale valutazione delle proprie parti del corpo in movimento o affondamento.
Sequenza in galleggiamento
In un secondo momento ho curato lo schema della deambulazione utilizzando una sequenza in galleggiamento: ponendo un paziente con ciambella idonea sotto i glutei e 2 ciambelle di uguale misura alle mani, chiedendo di spingere con un arto superiore sulla ciambellina corrispondente e poi dall’altro lato, in entrambe i casi avrò la risalita dell’emibacino omolaterale.
Si può anche applicare la variante elevando prima un arto superiore e poi l’altro. Entrambe i casi avrò la risalita dell’emibacino omolaterale; si può anche applicare la variante elevando prima un arto superiore e poi l’altro.
In questa sequenza il paziente oltre a curare l’aspetto della coordinazione nello schema del passo e a valutare i tempi di passaggio da un emilato all’altro (sequenzialità temporale) deve anche riuscire a tenere e mantenere la ciambella sotto i glutei senza farla sfuggire (più è gonfia la ciambella, maggiore è la difficoltà).
Se abbino i 2 movimenti contemporaneamente finalizzerò la sequenza ad un lavoro di equilibrio ( insistenza dal lato deficitario). In caso di dolore più elevato si sarebbe potuto eseguire la sequenza da una posizione più facilitante e sicuramente più stabile, cioè con gli arti inferiori a bordo vasca, alternando contrazioni isometriche sia sulla catena anteriore che posteriore.
Sequenza del passo in verticale
Un’altra sequenza molto utile da me usata è quella dello schema del passo in verticale scomposto nelle tre fasi (A.S.P.) con l’acqua a livello sternale e 2 ciambelline sotto i piedi difficoltose da mantenere sotto i piedi soprattutto nella fase di flessione di ginocchio dove la pressione idrostatica si riduce (qui ho paragonato questo gioco di spinte e di equilibrio nel mezzo acqua con i feed back visivi e acustici del gait training ) sempre con l’obiettivo di curare l’aspetto della sequenzialità temporale dei passi.
A questo primo ricovero è sembrato ci fosse un miglioramento lieve di tutti i parametri ma permaneva il dolore durante la deambulazione.La paziente ritorna da me nell’Aprile 2006 dopo aver subito intervento chirurgico di stabilizzazione L3-S1, seguito da un periodo di relativo benessere e successivamente un episodio di riacutizzazione del dolore nel settembre 2005; a dicembre 2005 ulteriore impianto di elettrocatetere perdurale.
Alla valutazione tutti i parametri risultavano alterati ma ciò che più allarmava era il dolore che peggiorava nell’arco della giornata. Alla nuova valutazione tra gli obiettivi terapeutici questa volta compare anche la ipofunzionalità diaframmatica che condizionava le curve del rachide.
Poiché tutti i blocchi antalgici avvengono in inspirazione, e le conseguenti tensioni dei pilastri del diaframma condizionano la colonna, aumentano i fenomeni compressivi articolari e le tensioni a carico dei muscoli spinali; si dovrà pertanto lavorare in massima distensione con adeguato training respiratorio.
Nella paziente si osserverà un atteggiamento in iperlordosi quindi ho usato la respirazione diaframmatica mobilizzando il rachide riducendo la lordosi. In acqua risulta assai più semplice percepire le parti del corpo e le relazioni tra queste variando i volumi polmonari, così come interiorizzare correttamente la meccanica respiratoria.
Deambulazione associata
Vista la costante presenza del dolore negli esercizi proposti in ambulatorio, per il riequilibrio del ritmo lombo pelvico ed un controllo neuro motorio del bacino, si è proposto in acqua la deambulazione accosciata seduto su una tavoletta.
In un primo momento ho guidato o la tavoletta nei movimenti di basculamento, poi la paziente è stata in grado di autogestirsi reggendosi su punti mobili al centro vasca ed eseguendo movimenti di antero e retroversione del bacino.
Considerate le forti tensioni delle catene posteriori, ho fatto eseguire molto stretching degli ischio- crurali completate dalle contrazioni-rilasciamento per effetto della spinta idrostatica (A.S.P.).
Alla valutazione funzionale finale la paziente riferiva diminuzione del dolore durante la deambulazione ma limitata nel tempo, miglioramento dell’elasticità della catena posteriore degli arti inferiori, respirazione diaframmatici più fluida, S.L.R DX65° SX85°, QBPDS 45 Ambulation index 71/100.
In conclusione per questo tipo di pazienti destinati alla convivenza con il dolore che comporterà un uso frequente di antidolorifici e una vita piuttosto statica per cui potrebbero esserci anche problemi associati di sovrappeso, è pensabile che l’acqua possa diventare un ABITUDINE DI VITA visto che nella maggior parte dei casi è l’unica attività proponibile e psicologicamente accettabile.